ALLA COMUNITÀ EDUCATIVA
"La velocità è la forma di estasi che la rivoluzione tecnologica ha regalato all’uomo. [...] Ma quando l’uomo delega il potere di produrre velocità a una macchina, allora tutto cambia: il suo corpo è fuori gioco, e la velocità a cui si abbandona è incorporea, immateriale - velocità pura, velocità in sé e per sé, velocità-estasi. Strano connubio: la fredda impersonalità della tecnica e il fuoco dell’estasi. [...] Perché è scomparso il piacere della lentezza? […] Chi contempla le finestre del buon Dio non si annoia; è felice. Nel nostro mondo l’ozio è diventato inattività, che è tutt’altra cosa: chi è inattivo è frustrato, si annoia, è costantemente alla ricerca del movimento che gli manca."
M. Kundera, La lentezza
All'inizio di quest'anno scolastico ho pubblicato un messaggio di buon auspicio dissertando sul concetto di tempo in Seneca. Siamo in primavera, si avvicina la Pasqua e forse è il momento almeno di proporre qualche ulteriore spunto di riflessione. Magari verrebbe da pensare al "De tranquillitate animi" dello stesso Seneca, visto che questa ricorrenza rievoca non solo il concetto di resurrezione, ma anche quello di serenità e tanto altro. In realtà, da un po' mi viene in mente il romanzo di Kundera citato in epigrafe. Il motivo forse è legato all'uso che facciamo della tecnologia, spesso fonte di ansia e stress nonché di comportamenti alienanti ed asociali. Tuttavia, l'evocazione di questa lettura datata è stata causata dall'essermi imbattuto in "Elogio della lentezza" di L. Maffei, che dubita che siamo davvero progettati per la velocità, encomiando l'homo lentus. In questo senso, il cervello umano è un connubio di rapidità e lentezza. Sono veloci quanto aviti i meccanismi stimolo/risposta. Viceversa, risultano lenti i meccanismi che non sono insiti nel genere umano, ma che si sviluppano dalla sua evoluzione, determinando il passaggio dall’uomo naturale a quello culturale. Tali meccanismi appartengono al pensiero e al linguaggio (un binomio che fa subito pensare al titolo dell’ultima e geniale opera di L.S. Vygotskij), che sono allocati nel nostro emisfero sinistro, implicando quel modus cogitandi logico e strutturato temporalmente di cui solo noi uomini siamo capaci. Non a caso, il succitato Maffei afferma che il “successo evolutivo degli uomini rapidi” è “portare con sé la scomparsa di tutte le azioni considerate inutili come la contemplazione, la poesia, la conversazione per il piacere di parlare, e la comparsa di una nuova arte, quella della rapidità, dove la poesia è un tweet e la pittura una pennellata. Si potrebbe verificare un’atrofia, almeno funzionale, dell’emisfero del tempo, con conseguente probabile ipofunzione del pensiero lento [...] verosimilmente nell’emisfero destro, atte a rinforzare il pensiero rapido”. In questa prospettiva, mi viene da pensare alla differenza tra videre ed observare in latino. Il primo verbo si riferisce al percepire con gli occhi. Quindi, ‘videre’ avrebbe a che fare con la sola superficie visibile delle cose. “Ob+servare”, invece, allude al considerare con attenzione qualcosa o qualcuno, allo scopo di conoscere meglio, di rendersi conto per conservare (da cui servare) un’intuizione. È proprio l’osservazione che più si confà alla lentezza e al pensiero laterale. Di qui è nata nella nostra comunità educativa l’esigenza, in una precisa fase di progettazione dell’azione 2 del PNRR, di indirizzarsi verso un uso più saggio della tecnologia, scartando ipotesi come il metaverso vel sim. e volgendo lo sguardo al recupero di un progetto lasciato nel cassetto, per mancanza di fondi, e che tuttora consentirebbe di passare dall'osservazione astronomica proiettata sulla cupola interna del planetario scolastico a quella reale captata da un osservatorio posto in cima al plesso liceale. In tale ottica, lo stimolo all’osservazione diverrà fondamentale con l’implementazione di un nuovo complesso, che è parso opportuno al team progettuale chiamare, almeno provvisoriamente, Ipazia, in onore di una filosofa, matematica ed astronoma di grande rilievo storico-culturale. Chi osserva, infatti, capisce e sa che cosa sia e dove si trovi un corpo celeste, quel che di solito accende l’interesse di chi si accosta all'astronomia per osservare il cielo notturno. Riconoscere una costellazione, distinguere una stella da un pianeta, sapere dove, come e quando cercare un "corpo" in cielo, sono facoltà che si corroborano proprio ad occhio nudo; lo strumento viene dopo. Vedere la Grande Nebulosa di Orione con uno strumento è senza dubbio meraviglioso, ma sapere dove si trovi, a quale costellazione appartenga, ed individuare la sua figura nella volta celeste, rende la sua osservazione al telescopio ancora più soddisfacente. Chi osserva, infatti, tende a soffermarsi, a notare i particolari, poiché conosce l’oggetto che sta scrutando. Chi vede guarda solo la superficie e potrà quindi intravedere la nebulosità di M42, magari non riuscendo ad identificare il Trapezio di Orione, non afferrandone il fascino intrinseco. Ciò dimostra che non basta avere uno strumento per pensare di osservare il cielo, perché, senza la conoscenza, il cielo si può solo vedere o guardare. Pertanto, prima di guardare dentro un telescopio, è prodromico un iter conoscitivo, iniziato e sviluppato con gli occhi. Una volta che verrà realizzato il progetto PNRR succitato, credo - o meglio crediamo come comunità - che questo habitus mentale disposto all’osservazione possa rappresentare uno stimolo costante alla riflessione, abitudine che abbiamo perso anche in concomitanza con ricorrenze un tempo molto sentite sul piano spirituale. Carlo Bo, nella sua celebre introduzione alla "Vita di Gesù" di F. Mauriac, ci ha lasciato un’osservazione su Cristo che è un monito ad andare avanti e a fare della partecipazione e del comunitarismo le chiavi per la difesa dell’umano: “Il compito che si prefigge è questo, di non strapparlo all’ombra che limita il nostro quotidiano, di non vederlo né come Dio né come un cuore santo ma – caso mai – di vederlo come un nostro sosia dotato del segreto della verità, carico di un dato di carità che sa trasformare il ‘nodo di vipere’ che rappresenta il cuore dell’uomo in offerta, in amore, in segno di partecipazione.” Ed è con queste parole che vi auguro un pregnante periodo pasquale, in cui si riscopra il significato più profondo dell’estasi, nella speranza e nella convinzione che si possa transitare dallo stadio estetico del presente eterno (di sapore kierkegaardiano), in cui è imbrigliato l'uomo attuale, per recuperare la propria dimensione estatica, che significa libertà ovvero, per dirla alla Osho, "danzare sotto le stelle... camminare nel vento... parlare con il sole e con la luna".
Prospera Pascha sit!
Cordialmente,
il Dirigente
Prof. S.A.