Saluto del Dirigente del Liceo ed inaugurazione a.s. 2025/26
ALLA COMUNITÀ EDUCATIVA
«Contestare e creare: sono le due parole che io direi ad un giovane per educarlo. Deve imparare a contestare e a creare. Non bisogna cadere in un conformismo piatto e inerte, ma bisogna lottare per i propri ideali e per la propria indipendenza di giudizio.»
Ludovico Geymonat
Viviamo tempi in cui la parola 'scuola' rischia di ridursi a laconica etichetta amministrativa (o peggio), se non restituiamo all'istituzione educativa la sua cifra originale: luogo sociale di formazione della coscienza, fucina di pensiero critico e leva di emancipazione collettiva. Non stiamo parlando di un vezzo retorico. È preciso dovere civico rivendicare che la scuola resista alla mercificazione del sapere e alla trasformazione dei/delle giovani in tristi variabili di mercato. La scuola è presidio di dignità: dirlo significa tracciarne la finalità etica, culturale, umana e (perché no?) politica, da intendersi non necessariamente come “una cosa sporca”, bensì quale mezzo per la realizzazione della cittadinanza attiva. In ludo si decide — concretamente — quale società vogliamo coltivare. In questa prospettiva, la dispersione scolastica non è una statistica distante: è il volto tragico di un Paese che abdica al futuro delle nuove generazioni. Ogni studente che si perde nella selva dell’abbandono o della rinuncia è una promessa che non abbiamo mantenuto. Tuttavia, non basta la commozione: serve una volontà pubblica che sappia coniugare cura e rigore, passione educativa e responsabilità istituzionale. Occorre guardare alla radice sociale del problema — alla povertà materiale e culturale che isola le ragazze e i ragazzi — e al contempo restituire alla scuola pratiche che rendano la vita comunitaria sensata, necessaria e desiderabile, per quanto impegnativa. La lotta contro la dispersione è allora una forma alta di politica: non propaganda, ma pratica quotidiana di giustizia sociale.
Ergo, l’inclusione autentica nasce da questo doppio movimento: restare fedeli al principio e congegnare dispositivi atti a trasformare le differenze in patrimonio comune. Includere non vuol dire semplicemente far posto o parcheggiare; vuol dire cambiare il modo di insegnare ed apprendere, di ascoltare, di organizzare il tempo e lo spazio della vita scolastica. È uno sforzo di pazienza e di fatica intellettuale, che esige formazione del personale, presenza di comunità, corresponsabilità delle famiglie, intreccio con i servizi territoriali ed impegno studentesco. L’inclusione reale si misura nel quotidiano: nell'attenzione alle pratiche didattiche, nella qualità delle relazioni sociali, nella capacità di trasformare le fragilità in risorse. E qui entra, quale elemento centrale e non accessorio, il tema dell’orientamento. Orientare non è predisporre itinerari utilitaristici o confezionare curricula per il mercato; orientare è aiutare il/la giovane a riconoscere il proprio talento interiore (da τάλαντον = peso o valore) o le proprie attitudini, a leggere il mondo in cui vivrà, a scegliere con consapevolezza un'esistenza fatta di lavoro e responsabilità. L’orientamento degno di tal nome è pedagogia sociale e della libertà: non subordina il progetto di vita al profitto immediato, ma mette in gioco strumenti culturali, esperienze concrete, percorsi che connettano scuola, territorio, ricerca ed impresa. È l’arte di svelare possibilità, non di chiudere orizzonti. In questa ottica, i PCTO (da domani progetti di FS-L), i laboratori, i moduli formativi o di cittadinanza, gli stage e i tirocini non sono meri obblighi burocratici, bensì esperienze (per)formanti che restituiscono ai discenti il senso del pensare, del fare, del progettare e del contribuire al bene comune. Non si tratta di inventare una nuova grammatica della scuola: si tratta di esercitare con coerenza valori e prassi che già conosciamo, ma che troppo spesso lasciamo appassire. Dalla dimensione morale nasce la misura di ogni scelta: finanziare per ridurre disuguaglianze, progettare per abilitare, formare per responsabilizzare. Questo è il nobile core business della nostra etica della responsabilità collettiva: non delegare al caso né al mercato le sorti dell’educazione, semmai agire come comunità che educa e si educa. Nei fatti, si tratta di una chiamata ad un impegno condiviso — non una lista di procedure, piuttosto un patto di tipo morale: riaprire le classi alla bellezza del sapere, tenere la porta della scuola spalancata alle fragilità, restituire orientamento come pratica di libertà universale. La scuola dei nostri sogni è dura con le disuguaglianze e tenera con le persone; è capace di immaginare e creare, di soppesare i risultati e di non rinunciare alla speranza.
Se vogliamo che la nostra gioventù non sia composta da «scarti», ma auspicabilmente da soggetti protagonisti o co-protagonisti, è qui che dobbiamo agire, con lucidità teorica ed ardore pratico, nella convinzione che dotare la mente delle allieve e degli allievi di strumenti propri della logica e del pensiero critico possa evitare la schiavitù del conformismo, contribuendo a costruire una società in cui i teoremi della giustizia non siano più un'utopia.
Il Vs. Dirigente
Prof. Sergio Arizzi