Giornata delle Nazioni Unite, 2025: 80 anni di impegno per la pace, i diritti e un mondo più sostenibile

Pubblicato: 24 ottobre 2025 

ALLA COMUNITÀ EDUCATIVA  

«Noi, i popoli delle Nazioni Unite…» — così comincia la Carta che ha dato speranza a un mondo ferito. Otto decenni dopo, nella commemorazione dedicata, il Segretario Generale A. Guterres rilancia un appello alla responsabilità comune: un’ONU più inclusiva, più efficace, capace di affrontare conflitti, crisi climatica e nuove sfide tecnologiche. È una chiamata alla ragione collettiva: l’istituzione, ci ricorda il messaggio ufficiale (riportato in calce), non è superflua; è piuttosto uno strumento che va rimesso al servizio delle persone e del pianeta.

E tuttavia — ed è qui che il dibattito si fa necessario e urgente — non mancano analisi nette e critiche che chiedono molto più che “riforme”. C’è chi, guardando ai fallimenti di questi anni, invoca una rottura radicale: «L’ONU va sciolta, non riformata», è il titolo amaro e provocatorio di una riflessione che mette sul banco degli imputati l’incapacità di prevenire guerre, lo strapotere del veto e una gestione internazionale che troppo spesso piega i diritti ai reali interessi di potenze e blocchi. Secondo questa lettura, le parole sugli impegni non bastano più: serve un progetto nuovo di governance mondiale che restituisca voce e potere ai Paesi del Sud del mondo, cancellando l’iniquità decisionale del Consiglio di Sicurezza.

Due verità convivono: l’ONU è stata — e resta — lo strumento che ha evitato il collasso totale delle relazioni internazionali in momenti critici; ma è anche vero che, su questioni essenziali, la sua azione è stata non di rado lenta, contraddittoria o neutralizzata da interessi nazionali. I dati delle tragedie globali — conflitti che perdurano, crisi umanitarie di scala crescente, l’emergenza climatica che avanza — pesano come un’accusa. E alle accuse rispondono, da un lato, le proposte di Guterres per snellire e rendere più attuabile la macchina ONU; dall’altro, le voci che chiedono una ridefinizione più radicale delle regole del gioco internazionale. 

Se accettiamo di ragionare con onestà civile, occorre partire da pochi, saldi principi: la dignità delle persone, la solidarietà tra i popoli, la verità dei fatti. Il nostro compianto Presidente Sandro Pertini avrebbe ricordato che l’istituzione è viva nella misura in cui serve concretamente a prevenire la sofferenza e a tutelare i diritti. Non basta invocare la pace: bisogna costruire gli strumenti istituzionali che la rendano possibile, senza piegarsi ai potentati. E se questo richiede coraggio politico — di chi dirige Stati e di chi presiede assemblee — allora il coraggio va reclamato e praticato.

Allo stesso tempo, lo sguardo critico ci impone di non indulgere ad illusioni consolatorie. Le parole che suonano bene nei comunicati rischiano di restare aria se i meccanismi decisionali — dal veto del Consiglio di Sicurezza alle prassi d'intervento — non vengono affrontati con trasparenza e giustizia. L’argomento chiave è politico: come riconciliare la sovranità degli Stati con la responsabilità internazionale? Come dare effettiva rappresentanza ai Paesi che oggi sono marginalizzati nelle decisioni decisive?

Due vie, non necessariamente alternative, si aprono davanti a noi:

1. Riformare con metodo e muscoli ovvero rendere l’ONU più funzionale, chiarire mandati e competenze, abolire o restringere ampiamente l’uso del veto in casi di gravi violazioni dei diritti umani; potenziare strumenti di prevenzione dei conflitti e di risposta ai crimini internazionali.

2. Ripensare l’architettura mondiale ovvero immaginare nuovi organismi o una diversa composizione decisionale, che restituisca efficacia alle norme internazionali e dia peso reale ai Paesi del Sud del Mondo, promuovendo una policentrica autorità globale che non sia mera piattaforma retorica.

Nel mondo reale, la seconda via appare rivoluzionaria e complicata, sebbene non da scartare a priori; la prima è faticosa, ma forse praticabile. Chi sceglie la riforma deve però mettere al centro la giustizia: senza equità di partecipazione e senza strumenti che impediscano l’abuso di potere, ogni cambiamento rischia di essere vano.

L’ONU può e deve tornare ad essere quella promessa vivente di cui parla Guterres — ma per farlo ha bisogno di verità, coraggio e partecipazione effettiva. Non è più tempo di comitati che discutono, mentre il mondo brucia: è tempo di scelte limpide, di regole giuste, di istituzioni che siano davvero al servizio della pace e dei diritti umani. Se non ora, quando?

Cordialmente,

il Dirigente

Prof. S.A.

Video-messaggio del Segretario generale Guterres